Forse
converrebbe partire con lo specificare cosa Fahrenheit non è, piuttosto che
descrivere le
caratteristiche
che lo
compongono. Il perché del far ciò risiede nei miti che si sono diffusi per
la rete, fra le comunità di videogiocatori, dopo l’uscita della demo.
Fahrenheit non è sicuramente un’avventura la cui trama può essere modificata
dalle scelte del giocatore e non è nemmeno la versione videoludica di un
librogame (paragone che si può leggere da più parti). Anche il confronto con
un vecchio classico del genere adventure, quel Blade Runner che fece
assaporare agli avventurieri di tutto il mondo la
possibilità di ottenere finali differenti a seconda del proprio
comportamento nel gioco (stiamo parlando solo del genere delle avventure
grafiche, ovviamente), risulta errato e fuorviante una volta che si è
giocato a fondo il titolo di Quantic Dream.
Roba
da studios
Per
capire le ambizioni degli autori di Fahrenheit non occorre nemmeno
iniziare il gioco vero e proprio, basta avviare il
tutorial. In questo ci vengono sì semplicemente spiegati i controlli base
del gioco, ma ci viene data anche un’idea di dove
l’intero progetto voglia andare a parare. A fornirci spiegazioni sui vari
movimenti e azioni compibili è David Cage, il game
designer di Fahrenheit che si presenta, senza troppi preamboli, come
regista. L’ambientazione in cui si svolge il tutorial è
un teatro di posa cinematografico (un capannone stile hollywoodiano,
insomma) e il personaggio controllato (solo in questo
frangente) è un crash test dummy (avete presenti i pupazzi che vengono
utilizzati nei crash test delle auto?). Sin da questa
fase preliminare è possibile comprendere quanto il sistema di controllo
sia elaborato ma, contemporaneamente, semplice e
intuitivo in modo da essere funzionale e impeccabile anche durante le fasi
di gioco più concitate: con quattro tasti si muove
il personaggio mentre con il mouse si interagisce con l’ambiente. Alle
quattro direzioni degli assi X e Y del mouse vengono
assegnate delle interazioni differenti di volta in volta, in modo che
siano sempre contestuali all’azione (ad esempio, se una
porta si trova alla destra del personaggio, l’interazione per aprirla sarà
legata al movimento “destra”). Altri due tasti
servono per: ruotare la visuale, compiere delle azioni sotto sforzo ed
eseguire altre azioni di varia natura (determinate di
volta in volta dal contesto). Le azioni sotto sforzo consistono in una
pressione alternata dei due tasti da eseguire il più
velocemente possibile (avete presente Combat School o, meglio, Track’n’Field?).
Infine ci sono le cosiddette sequenze PAR in
cui, nel mezzo dello schermo, appariranno due cerchi divisi in quattro
spicchi: il cerchio di sinistra è legato ai tasti
movimento, il cerchio di destra a quelli interazione; per superare
correttamente queste sequenze non bisognerà fare altro che
eseguire i movimenti corrispondenti agli spicchi che via via si
illumineranno. Detta così sembra complicato ma, soprattutto
se siete in possesso di un joypad con due levette analogiche (i possessori
di console sono tutti inclusi in quest’ultima
categoria), troverete che siamo di fronte ad una delle interfacce di
controllo più geniali partorite negli ultimi anni.
Chiamiamo i Cahiers du cinema?
Sin
dalla sequenza d’apertura appare evidente l’ambizione di Quantic Dream di
produrre qualcosa di anomalo rispetto a quanto
il mercato ha avuto da offrire fino ad ora, anche se incombe comunque la
paura di trovarsi di fronte ad una promessa che
sfocerà nei soliti clichè videoludici. L’idea che ci si fa osservando il
volo del corvo attraverso la neve, mentre la
telecamera virtuale descrive una panoramica di Manhattan, è che ci si
trovi di fronte ad un possibile film interattivo, con
tutto quello che di positivo e negativo questo può comportare. Anche i
crediti iniziali hanno un sapore fortemente
cinematografico (soprattutto lo spuntare fra gli altri del nome di Angelo
Badalamenti fa per un attimo illudere di trovarsi
all’interno di un cinema… leggete il box a lui dedicato per saperne di
più) così come le varie inquadrature e la musica di
sottofondo. Nulla di particolarmente strano o innovativo, comunque.
Purtroppo, soprattutto negli ultimi anni, le ottime
impressioni iniziali hanno spesso lasciato il posto a cocenti delusioni
avute con il procedere dentro le membra di vari
videogiochi… ma non divaghiamo.
Lucas Kane si trova nel bagno di una tavola calda dove, in stato di
trance, uccide un uomo colpendolo con tre coltellate.
Durante questo stato alterato ha delle visioni vivide di un altro uomo
incappucciato e di una bambina. Una volta
risvegliatosi prende immediatamente coscienza di quello che ha fatto.
Dovrà quindi, guidato dal giocatore, riuscire a
nascondere più prove possibili prima che un poliziotto, seduto all’interno
della tavola calda, si alzi per venire proprio al
bagno. Questa scena (il gioco è diviso in svariati capitoli più o meno
lunghi), che è anche quella della demo, mette subito
in luce alcune caratteristiche portanti di Fahrenheit: la possibilità di
compiere azioni diverse che determinano un diverso
svolgimento di eventi minimi e la presenza di una precisa regia che, in
modo abile e studiato, descrive gli elementi di gioco
senza appesantire la narrazione e senza interferire troppo con l’azione.
Occorre comunque sfatare immediatamente un mito; è
vero che alcuni eventi cambiano in relazione alle azioni compiute o meno
dal giocatore, ma si tratta sempre di dettagli che
non modificano lo svolgimento della trama (servono spesso, molto
semplicisticamente, a far salire o scendere lo stress dei
personaggi, caratteristica di cui parleremo successivamente), che segue
comunque una sua linea rigida e ben determinata. Ad
esempio è vero che Lucas nella prima sequenza può compiere diverse azioni
che si ripercuotono in quella successiva (per dirne
una può scegliere se prendere il taxi o la metropolitana per fuggire dalla
scena del delitto, dando agli investigatori Carla
e Tyler, due altri personaggi controllabili di cui parleremo più avanti,
una prova in più o in meno per scoprire la sua
identità) ma è altrettanto vero che la storia non cambia in realtà di una
virgola e che, comunque, gli eventi maggiori e le
svolte narrative principali si avranno sempre nelle stesse scene e nelle
modalità volute dalla “regia”.
Parlando proprio della regia, è impossibile non notare come Fahrenheit
abbia sfondato alcune porte per quel che riguarda il
linguaggio dei videogiochi narrativi (anche grazie alla collaborazione
degli sviluppatori con il Centre National de la
Cinematographie). Non solo ogni inquadratura è studiata nei minimi
dettagli, con inserzioni di finestre e divisioni dello
schermo (che ricordano molto il linguaggio dei fumetti) atte a mostrare
elementi essenziali (come ad esempio l’avvicinarsi
del poliziotto verso il bagno nella prima sequenza o l’arrivo delle auto
della polizia sulla scena di un altro delitto in una
scena più avanzata del gioco) che conferiscono forte drammaticità
all’azione; ma è anche presente un pensiero narrativo da
cui traspare la volontà di veicolare una visione personale attraverso il
mezzo ludico.
Il paradosso di Fahrenheit
Occorre
ora parlare di uno degli elementi nodali del gioco.
Nella seconda scena prenderemo i controlli degli altri due protagonisti
della storia; i già citati Carla Valenti e Tyler
Miles. Carla è un investigatore di origine italiana operativo nella
polizia di New York, mentre Tyler, un nero americano
cresciuto nel degrado del Bronx, è il suo assistente. I due dovranno
ispezionare la tavola calda alla ricerca di
testimonianze e indizi che li portino a scoprire l’identità
dell’assassino. A pensarci bene sembra che ci sia qualcosa che
non quadra e che porta a porsi qualche domanda: ma come, nella sequenza
precedente abbiamo faticato per nascondere meglio che
potevamo le prove dell’atto compiuto dal Lucas, e in questa dobbiamo
riuscire a ritrovarle?
Da che parte sta, dunque, il giocatore?
È in questo paradosso che risiede la maggior parte del fascino narrativo
del gioco, in questo duplice ruolo in cui noi
sappiamo molto di più dei personaggi, pur non sapendo tutto, e li
controlliamo nella loro incoscienza parziale, guidandoli
verso lo svelamento del mistero. In Fahrenheit siamo chiamati a compiere
una duplice indagine, un doppio cammino che conduce
in un unico punto. Più si va avanti e più la trama s’infittisce; più si
moltiplicano gli elementi a disposizione del
giocatore e più ci si rende conto che è proprio questo sdoppiamento
dell’immedesimazione uno degli elementi di maggior
fascino e coinvolgimento dell’intera produzione.
Un cocktail perfetto?
Avanzando
nel gioco ci si accorge di altri elementi interessanti e realizzati
magnificamente. Partiamo da un dato di fatto:
Fahrenheit è un videogioco completamente narrato. A differenza però, di
altri ambiti in cui la narrazione è stata affidata a
lunghissime sequenze filmate o dialogate, in cui il giocatore non è altro
che un sacco inerte davanti allo schermo, un
semplice spettatore passivo che non interviene per nulla in quello che
guarda, qui non esistono sequenze filmate e/o di
dialogo in cui si rimane senza fare nulla. Un’altra idea geniale avuta dai
ragazzi della Quantic Dream è quella di inserire
“azione” all’interno di sequenze più propriamente narrative. Prendiamo ad
esempio un dialogo tipo (perdonate se evito di
citare la maggior parte delle scene in modo preciso, ma non voglio svelare
nulla della trama del gioco per non rischiare di
rovinarvi i molti colpi di scena): Carla dialoga con il Coroner; durante
il dialogo è chiamata a compiere delle sequenze PAR
per riuscire ad intuire dettagli che altrimenti le sfuggirebbero. Questo
comporta due cose: la prima è che, in base alla sua
abilità il giocatore può ottenere degli elementi narrativi ulteriori (che
comunque non compromettono lo svolgersi del gioco,
nel caso lo compromettessero avreste l’inevitabile game over); la seconda
è che non si rimane mai immobili per troppo tempo a
guardare qualcosa di alieno muoversi sullo schermo, ma si è sempre e
comunque attenti all’evolversi degli eventi per poter
intervenire lì dove viene richiesto. Così, anche le sequenze d’azione più
concitate e spettacolari, che altri designer
avrebbero reso solo dei bei filmati da guardare con i pop-corn in mano,
qui diventano delle spettacolari sequenze
interattive, girate magnificamente e accompagnate da musiche eccellenti.
Il sistema di stress e altri elementi di gameplay funzionali all’azione
All’interno di Fahrenheit è presente anche un sistema di stress dei
personaggi. Una barra verticale in basso a destra indica
quanto il personaggio che stiamo controllando sia più o meno stressato.
Molte delle azioni compibili durante le diverse scene
aumenteranno o diminuiranno questo stress. Se la barra scende troppo
rischiamo di vedere i personaggi finire in preda alla
follia o, peggio, suicidarsi. L’importanza di questa semplice feature
risiede nella funzione narrativa (tanto per cambiare)
che va ad assumere nell’economia dell’azione. In primo luogo non tutte le
interazioni che ci forniscono informazioni sono
positive per la salute mentale dei nostri personaggi. Per fare un esempio,
nella terza scena, Lucas può osservare una foto
sulla sua scrivania; facendolo si ottiene un interessante dettaglio della
sua vita, ma anche un aumento del suo stress. Ben
presto si scopre che molte delle interazioni disponibili nei diversi
scenari servono proprio ad aumentare o a diminuire
questo stress. Azioni apparentemente secondarie come urinare, bere un
bicchiere d’acqua, ascoltare una canzone, possono
essere un toccasana in seguito ad un evento particolarmente stressante.
Continuando a parlare di elementi di gameplay funzionali all’azione non si
può non notare come gli sviluppatori abbiano avuto
cura di fare molte “inserzioni” atte a sviluppare alcune tematiche e
alcuni personaggi. Ad esempio, in una scena ambientata
in uno stretto sotterraneo, verremo a sapere che uno dei personaggi soffre
di claustrofobia. Questo si traduce nel doverne
controllare la respirazione, rappresentata da una barra ondeggiante, per
non fargli subire attacchi di panico. Ma questo è
solo un esempio delle numerose inserzioni presenti nel gioco, le altre
lascio a voi il piacere di scoprirle.
Tecnicamente parlando
Dal punto di vista tecnico Fahrenheit si fa notare soprattutto grazie
all’accuratezza e alla ricchezza delle animazioni e
alla bellezza delle sequenze animate più frenetiche (girate con sapienza
rara). A livello puramente visivo siamo su ottimi
livelli (almeno per gli standard PS2 e Xbox), con ambientazioni piccole e
piene di dettagli e con texture qualitativamente
molto buone. Alcuni tocchi, che fanno parte dello stile peculiare di tutta
la produzione, sono poi delle vere chicche: ad
esempio la grana che ricopre lo schermo per la maggior parte del gioco
(che comunque è disattivabile) o alcune sequenze
oniriche realizzate in modo semplice ma molto suggestivo. Ovviamente, se
teniamo in considerazione la versione PC,
piattaforma con standard tecnici ormai molto superiori all’attuale
generazione di console, il giudizio peggiora, ma nemmeno
di troppo e, comprendendo che la tecnica in questo caso risiede non solo
in quello che si vede ma anche in come viene
mostrato (sto parlando della regia che determina la composizione dei
diversi elementi), si può soprassedere e considerarlo
comunque un lavoro ottimamente svolto e superiore a molte altre produzioni
più scintillanti ma meno accurate.
Sulla colonna sonora del gioco poi, non si possono che spendere parole di
elogio: le musiche sono stupende (speriamo che esca
il cd con la colonna sonora) e ogni singolo effetto sonoro presente
contribuisce a creare un’atmosfera unica.
Stonature
Ovviamente Fahrenheit ha anche i suoi bei difetti che, comunque,
potrebbero non essere tali per molti. In primo luogo va
considerata come non mantenuta la promessa di un’avventura in cui gli
eventi vengono modificati dall’agire del giocatore.
Come descritto sopra, questo è vero solo in parte. Altro problema risiede
nella storia in sè. Qui entriamo nell’ambito
inesplicabile dei gusti personali, anche se, obiettivamente, dopo
un’esaltante prima parte (quella più lunga, comunque) in
cui si cerca di capire cosa sta succedendo e si segue il già citato doppio
binario d’investigazione, subentra una seconda
parte in cui si gioca quasi completamente a carte scoperte e in cui gli
sceneggiatori toccano più volte i confini del trash,
superandolo in più di un occasione e creando una mistura fantamitologica
che può indisporre i palati più raffinati.
Sempre facendo un paragone fra la prima e la seconda parte del gioco, è
impossibile non notare come, nelle fasi iniziali, la
parte adventure sia preponderante mentre, arrivando alle scene finali, ci
si trovi a giocare con una specie di Track’n’Field
mixato con un Rythm Game. Forse poteva essere mantenuto un maggior
equilibrio complessivo nonostante sia evidente che il
ritmo di gioco cambi in base a precise esigenze narrative.
Ultimo difetto, non troppo grave in verità, risiede proprio nell’osannato
sistema di controllo: paradossalmente la
funzionalità del joypad comporta una maggior imprecisione nei movimenti
che non si riscontra, invece, nell’utilizzo di mouse
e tastiera.
La longevità, volendo, potrebbe essere un ulteriore difetto. Ma anche in
questo caso potrebbero esserci giocatori che si
accontenteranno di vedere i tre finali e non toccheranno più il gioco (per
inciso: i finali si decidono tutti nell’ultima
scena del gioco; basta quindi rigiocarla tre volte per vederli tutti),
altri potrebbero invece voler approfondire tutto
l’approfondibile, completando i dialoghi o rigiocando sequenze rimaste
poco chiare o che si pensa siano state eseguite
maldestramente. Ad allungare il tutto ci sono anche degli extra
(acquistabili tramite i punti nascosti nelle scene,
distribuiti sotto forma di carte nascoste) che, a differenza di altri
altri titoli, sono molto piacevoli e aggiungono
qualcosa all’esperienza di gioco complessiva.
Hardware consigliato:
Windows XP, x64o 2000, le ultime DX disponibili (allo
stato attuale, le 9.0c), un processore Intel a 1700 mhz o un AMD 1700+, mezzo
giga di Ram, una scheda video dalla GeForce 4 Ti o Radeon 9000 con 64MB di Ram,
5 GB di spazio su disco fisso, un lettore DVD 8x, una scheda audio a 16 bit,
topo e tastiera
Distributore:
Atari
Genere:
Adventure
Software House:
Vivendi Universal Games
Sistema:
PC
Fonte:
it.videogames.games.yahoo.com